LA CGIL NELLA TRAPPOLA


di Antonio Moscato
 La CGIL è alle corde: può solo lamentarsi, ma è in trappola. Ha accettato la finzione di una “rappresentanza delle parti sociali”, che ha avuto la stessa funzione che aveva nella crisi del 1929 la Camera delle Corporazioni: i rappresentanti del padronato (che erano veri) chiedevano una riduzione dei salari del 30%, quelli dei lavoratori (che erano fasulli, o meglio erano direttamente al soldo del padronato) protestavano blandamente, e “rivendicavano” che il taglio fosse appena del 10%, poi il governo “mediava” e i salari venivano ridotti “solo” del 15 o 20 %.
La mancanza di coraggio nel difendere la condizione dei lavoratori di fronte al governo più aggressivo del dopoguerra si era già manifestata sul grave attacco alle pensioni: la CGIL si era comportata esattamente come le altre confederazioni, e aveva protestato, ma senza scioperare. Esattamente quello che fa ora …
La trappola era stata costruita con l’accordo del 28 giugno, con la foto di gruppo della Camusso mani nelle mani con Emma Marcegaglia e i suoi due scudieri Bonanni e Angeletti. Una volta smarrita perfino la memoria della ragione per cui i sindacati rappresentavano i lavoratori, e la Confindustria i padroni (pardon, oggi si dice i “datori di lavoro”, anche se il lavoro non lo danno ma lo tolgono…), diventa impossibile reagire nell’unico modo in cui un vero sindacato può farsi sentire: con lo sciopero generale prolungato fino a far cedere la controparte.
Diventa anzi difficile perfino spiegare all’opinione pubblica che la Confindustria ha semplicemente giocato a presentarsi un po’ insoddisfatta per ottenere di più, lamentando ad esempio che la “mobilità in uscita” (altro eufemismo per definire la libertà di licenziare senza limiti) non è così facile e automatica come aveva auspicato, o che ci sono costi “eccessivi” per le aziende (come il contributo dell’1,5% per un fondo per gli ammortizzatori sociali, davvero troppo per i poveri padroni). Un po’ come fanno le banche, che hanno un governo formato da loro esponenti, ma si lamentano se devono concedere un conto corrente gratis ai pensionati più poveri…
La Camusso è incapace di dire una cosa semplicissima: Confindustria e ABI rappresentano interessi contrapposti da sempre a quelli dei lavoratori… E non è un’attenuante che questa politica di collaborazione di classe, intervallata ogni tanto da finti scioperi generali, vere parate simboliche senza conseguenze, era cominciata ben prima che lei arrivasse alla massima carica di Corso Italia. Basti pensare alla eliminazione della scala mobile e l’inizio della distruzione del sistema pensionistico nel corso delle concertazioni degli anni Novanta, oltre al poderoso contributo dei vertici confederali allo smantellamento della forza operaia della FIAT nel 1980.
Non è un’attenuante neppure che la Camusso abbia dovuto barcamenarsi tra la pressione della FIOM e quella fortissima del ceto politico del PD, a cui l’apparato CGIL è ancora indissolubilmente intrecciato, e che aveva dietro di sé la spudorata ingerenza di Napolitano, pronto a dare un avallo in nome dell’interesse generale del paese, a ogni porcata del suo governo di “tecnici” specializzati nella cancellazione di ogni residua conquista dei lavoratori.
La pressione della FIOM pesava meno non solo per la sua dimensione rispetto al resto della confederazione, ma perché da tempo aveva cominciato ad ammorbidire la sua battaglia di opposizione in CGIL, anche per il peso, all’interno del suo gruppo dirigente, dell’influenza della SEL, che è agganciata a qualunque prezzo al carro elettorale del PD, e quindi ostile a ogni inasprimento della battaglia interna alla CGIL. È una catena di condizionamenti e di ricatti: se si cerca ad ogni costo un'alleanza elettorale col PD, bisogna ingozzare anche tutte le sue compromissioni col malaffare e col governo. Come ignorare che le dichiarazioni degli Ichino e dei Fioroni sull’art. 18 hanno contribuito notevolmente ad avallare le proposte della Fornero?
Va detto che la difficile battaglia della FIOM era sostenuta solo da qualche gemito dei dirigenti di alcune delle categorie martoriate e beffeggiate da questo governo, come la scuola e il pubblico impiego (non certo dallo SPI, l’enorme “sindacato” che raccoglie i pensionati ma li usa come massa inerte per contrastare ogni proposta di sinistra, gonfiando le cifre della maggioranza in ogni consultazione interna). Il problema è che negli organismi confederali pesa solo un apparato di sindacalisti a vita, che non conoscono altro mestiere che quello di burocrate, e non riescono neppure a immaginare un’alternativa all’esistente.
E allora? Se si vuole organizzare una resistenza all’attacco padronale, che non si fermerà certo alla vittoria quasi solo simbolica sull’art. 18 (che ogni anno veniva utilizzato solo da un piccolissimo numero di lavoratori, anche se aveva una funzione deterrente e obbligava almeno a motivare decentemente la “causa” del licenziamento, in modo di farla apparire "giusta" a un giudice), bisogna contrapporre all’unità con i burocrati filo padronali di CISL, UIL e UGL, e all’intesa interclassista con Confindustria, l’unità dei lavoratori, a partire da quelli che hanno lasciato da tempo le confederazioni e si sono organizzati in sindacati di classe, più piccoli, ma spesso ben rappresentativi in diverse situazioni. O che sono fuori da ogni sindacato, ma presenti in quella miriade di associazioni che avevano contribuito al successo sorprendente dei referendum sull’acqua (a partire dalla raccolta di firme).
Se ne è vista un’anticipazione nella preparazione della manifestazione del 9 marzo, e lo si è visto nelle iniziative contro il pagamento del debito e a sostegno dei No TAV (in cui, non a caso, la Camusso sta dall’altra parte). Ma occorre fare passi più sistematici in questa direzione, o sarà più facile isolare la FIOM riducendo la sua lotta a una battaglia di retroguardia, come quella dei soldati giapponesi che hanno continuato a resistere – senza speranza - nelle foreste per anni dopo la fine della guerra…