Europa: menzogne sul debito pubblico


E' stato omessa la prima parte dell'articolo che spiega la nascita della crisi attuale. Da 
http://www.sinistrainrete.info/index.php?option=com_content&view=article&id=2326:giovanna-cracco-europa-menzogne-sul-debito-pubblico&catid=67:crisi-mondiale&Itemid=79

di Giovanna Cracco
.........Omissis..... Il Financial Times aveva segnalato la curiosa dinamica speculativa messa in atto sui titoli ellenici interpretandola, non senza ironia, come un errore di valutazione da parte della Banca Centrale (5). Tuttavia è ben difficile considerarlo un errore, a meno di credere che sui più alti scranni finanziari della Grecia siedano incompetenti alle prime armi che non conoscono i meccanismi della speculazione, e che possano operare in totale autonomia rispetto al potere finanziario centrale della Bce; di certo, senza questa manovra, le decisioni in materia di politica economica non sarebbero passate di mano dal governo greco alla troika, e non si sarebbe avviata quell’infernale spirale finanziaria che ha innescato una tragedia sociale di cui è difficile prevedere la fine.

Dall’altra parte, Irlanda e Spagna rendono evidente che non è l’eccessiva spesa in stato sociale il problema dei debiti sovrani, eppure è quella che la troika va a tagliare, mentre salva il sistema finanziario e continua a foraggiarlo armando la speculazione sui titoli di Stato.

I Paesi che si affidano alla troika diventano ostaggi, per parecchi anni, della Bce, della Commissione europea e del Fondo monetario internazionale: a ben vedere, quella che oggi viene attuata in Europa è una dinamica storicamente già collaudata nei Paesi in via di sviluppo. Nei decenni scorsi abbiamo infatti assistito alla colonizzazione finanziaria dell’America latina e dell’Africa, alle cui nazioni il Fmi concedeva prestiti in cambio dell’introduzione nel Paese di un’economia neoliberista: privatizzazione delle risorse e dello stato sociale. È questo l’obiettivo a cui mirano le manovre concentriche fin qui analizzate: costruire un nuovo modello di Stato.

Dimentichiamo le conquiste sociali del dopoguerra, i diritti dei lavoratori, un’istruzione pubblica, una salute pubblica, una pensione pubblica, ottenute grazie alle lotte di piazza e allo spauracchio dell’Urss, che imponevano all’Occidente una forma socialdemocratica di Stato. L’architettura sociale in Europa – e dunque anche in Italia – non sarà più come l’abbiamo conosciuta negli ultimi cinquant’anni, e non è nemmeno durata a lungo: cinque decenni sono ben pochi nell’arco della Storia. Lo statuto dei lavoratori è del 1970, il Servizio sanitario nazionale è del 1978, la riforma scolastica che ha liberalizzato l’accesso all’università è del 1969, la pensione sociale universale è anch’essa del 1969.

II cambiamento messo in atto è intrinseco alla logica del capitalismo, un sistema economico che non ha nulla di sociale e non è riformabile – il capitalismo etico propugnato dalla Chiesa e da alcune frange di imprenditori e politici è un’illusione, tanto quanto quello che parla di decrescita. Ed è una menzogna anche la separazione tra capitalismo finanziario e capitalismo reale: il secondo è esploso a causa delle crisi di profitti del primo (6), il quale ha dirottato denaro dagli investimenti produttivi alla finanza, la stessa finanza che ora gli aprirà le porte per tornare a fare profitti. Saranno infatti imprenditori quelli che si arricchiranno con le scuole private, con gli ospedali privati, con le pensioni private, con un costo del lavoro ridotto al limite della sopravvivenza del lavoratore. Mentre nuovi mercati in ascesa acquisteranno le merci prodotte a basso costo in Europa.

Non stiamo nemmeno assistendo alla Waterloo della politica: è superfluo ricordare che è la politica a costruire l’architettura sociale di un Paese, attraverso le leggi, e a stabilire che cosa è legale e che cosa non lo è, nella finanza come in qualsiasi altro contesto. È la classe politica ad aver creato un’Unione europea che è la quintessenza del neoliberismo, spalancando le porte ai capitali speculativi stranieri, costruendo una Bce che per statuto non può acquistare titoli pubblici e opponendo un rifiuto categorico a cambiarne le regole – i colpi di fioretto estivi tra Monti, Draghi e la Merkel sono a uso e consumo degli spettatori in platea ignari del copione: gli acquisti della Bce di titoli di Stato saranno sempre vincolati alla firma di un ‘memorandum’, ossia alla sottoscrizione della ricetta neoliberista.

Ed è ancora la politica ad aver partorito, a marzo di quest’anno, l’ennesimo trattato.

Si tratta del “Trattato sulla stabilità, sulla coordinazione e sulla governance”, meglio conosciuto come “Fiscal compact” – ratificato a luglio dal Parlamento italiano – e prevede che: i bilanci degli Stati membri devono essere in pareggio; ogni Stato deve introdurre questa regola nella propria Costituzione e attivare un meccanismo automatico di correzione; qualora il debito pubblico superasse il 60% del Pil, il Paese deve operare una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo l’anno; qualora il deficit di bilancio superasse il 3%, lo Stato deve presentare alla Commissione e al Consiglio europeo un programma di riforme strutturali; i Paesi devono sottoporre alla Commissione e al Consiglio europeo i piani nazionali di emissione di titoli pubblici; in caso di infrazione alle regole, le sanzioni (ancora da stabilire) scatteranno automaticamente.

Un trattato che esautora qualsiasi forma di democrazia, per quanto anche la democrazia sia un’illusione, quando l’informazione è in mano ai servi del Ministero della Verità e i cittadini sopravvivono nell’ignoranza, incapaci di scorgere il volto del loro nemico. Un trattato necessario alla classe politica per restare al proprio posto, costretta dalla farsa democratica a fare i conti con il consenso elettorale e per questo disposta a passare da utile idiota: “è l’Europa che lo vuole”, “è il mercato che lo vuole”, “sono riforme dolorose ma necessarie”, sono i mantra dispensati dai pulpiti parlamentari, di cui è degno esempio l’Italia con il suo sostegno trasversale al tecnico Monti.

Un Paese anomalo, lo Stivale, non c’è dubbio, e difatti le manovre che l’hanno accerchiato sono state differenti. Anomalo per quattro ragioni: vi regnano la corruzione, l’evasione fiscale, la criminalità organizzata e, per vent’anni fino a ieri, un imprenditore. La prima ha creato un capitalismo chiuso e feudale e portato il rapporto debito/Pil dal 62% del 1980 al 118% del 1992 (7); la seconda e la terza sono le realtà che supportano l’economia – senza il sommerso e il riciclaggio nel circuito legale del denaro illegale, l’Italia sarebbe un Paese da Terzo mondo – il quarto non avrebbe mai attuato nessuna delle riforme necessarie, così impegnato a fare gli interessi delle proprie aziende e a coltivare il consenso. Occorreva dunque, per prima cosa, detronizzare l’imprenditore fattosi politico, e a giugno 2011 si è dato il via alle manovre speculative sui titoli di Stato che hanno porto a Napolitano l’assistper poter nominare Mario Monti primo ministro. Tuttavia il governo ‘tecnico’ non è sufficiente garanzia contro l’anomalia italiana, innanzitutto perché non ha una solida maggioranza parlamentare alle spalle, e in secondo luogo perché al più tardi l’anno prossimo si terranno le elezioni e quindi il tempo stringe: dunque gli attacchi speculativi non cesseranno fino a quando le ‘riforme necessarie’ non saranno completamente attuate.

Ma quando il nuovo modello di Stato sarà finalmente operativo in tutti gli Stati europei, c’è da scommettere che la Bce si metterà a stampare moneta per supportare la crescita di un’economia produttiva ridotta alla recessione; denaro che andrà a ripristinare i profitti dei grandi imprenditori privati che sostituiranno lo stato sociale.

Qualcosa di simile alla riforma sanitaria di Obama, tanto applaudita in Europa e tanto falsamente sociale. Non istituisce alcuna sanità pubblica gratuita, ma obbliga ogni cittadino a stipulare una polizza sanitaria con una compagnia assicurativa privata; prevede parziali sussidi statali solo nel caso la polizza incida sul reddito personale per più del 9,5%; esclude l’interruzione di gravidanza, per la quale si dovrà sottoscrivere una polizza a parte (regalo alle frange estremiste cattoliche che siedono al Congresso americano – chissà cosa ci riserverà il futuro in Italia data l’ascesa ormai trasversale agli schieramenti politici di Comunione e Liberazione), e, come beffa finale, contempla una multa fino a 700 dollari l’anno per chi non la sottoscrive. Così, mentre il programma Medicare, riservato agli anziani – la cosa più vicina a una sanità pubblica che esista negli Usa – sarà tagliato per 500 miliardi di dollari in dieci anni, la nuova riforma andrà ad aumentare il fatturato delle assicurazioni private. E si può già immaginare che i cittadini che non potranno permettersi la nuova polizza sanitaria, all’interno di un budget familiare messo a dura prova da rate del mutuo, dell’affitto, della scuola, dell’auto ecc., sottoscriveranno l’ennesimo debito. E chi lo sa, magari la prossima bolla finanziaria riguarderà proprio i debiti stipulati per far fronte a uno stato sociale privatizzato.

Torneranno anche i dispositivi totali (8), per contenere quella grossa fetta della popolazione che non ce la farà a reggere il nuovo corso; magari anch’essi privati, come le carceri americane, di modo che il capitalismo possa guadagnare anche dall’esclusione sociale.

E se tutto questo non fosse abbastanza a rimpolpare i profitti del grande Capitale, in un mondo che vede cambiare gli equilibri di potenza, c’è sempre la guerra. Ha il pregio di allentare la pressione demografica e togliere di mezzo milioni tra “quelli dalle labbra bianche”, perché mangiando solo pane non possono “arrossarle sulla carne saporita dei cinghiali”, come scrisse Francesco Masala in uno straordinario romanzo del 1962, e di distruggere tutto per poi ricostruirlo.